mercoledì 7 maggio 2014

Ester, Deepa e l'Acqua

Ester è una Donna, di quelle con la D maiuscola, quelle cioè che hanno la consapevolezza di sé, quelle che non smettono di pensare che il mondo si può cambiare, ma che per farlo bisogna rimboccarsi le maniche, quelle che hanno trasformato la propria Fertilità in Creatività per metterla al servizio degli altri.
L'Acqua è un elemento che appartiene al Femminile, nella sua misteriosa profondità, nella sua capacità di accogliere passivamente, ma anche di diventare imprevedibile, nella vita che scorre celata dalla superficie. L'Acqua si adatta alla superficie, ma è cocciuta e può scavare nella pietra. il corpo nasce nell'Acqua, vive di Acqua, il Ventre materno contiene Acqua. Alla corrente puoi affidare messaggi, nell'Acqua puoi sparire o sprofondare o tornare alle origini. Non so se è questo il significato che Deepa intendeva dare al suo film, ma questo è ciò che mi è rimasto oltre alle suggestioni e agli spunti di riflessione. 
Ester Olivieri, ostetrica volontaria in moltissimi progetti di formazione e a sostegno dell'infanzia abusata in Africa, India - e altri Paesi - e ora in Cambogia per Manitese, ha presentato, in occasione della Giornata Nazionale dell'Ostetrica a Cremona il film Water, di Deepa Mehta appunto, e quindi Ester - Acqua -Deepa si sono intrecciati diventando la mia personalissima Trilogia.
Quando si ha a che fare con storie di profonda sofferenza, sul campo, sulla pelle o nella condivisione empatica in una stanza di terapia, la difficoltà più grande per chi ascolta è attraversare il dolore con la persona e gestire il senso di impotenza che ne deriva. Da spettatori spesso scatta la rabbia, ci si chiede per quale motivo certe persone non riescono a ribellarsi a certe situazioni di sopruso e non si riesce ad accettarne la passività. Ma le persone che soffrono rimangono imprigionate nelle proprie storie, e proprio come in una prigione sono sì rinchiuse, ma ne percepiscono i confini e questo è anche molto rassicurante. Un contesto prevedibile, pur deprivato e violento, è pur sempre coerente con sé stesso, al contrario di un mondo infinito fuori, che fa paura. Si tratta di strategie di sopravvivenza che hanno anche a che fare con la consapevolezza di esistere e con la paura di sparire dalla faccia della Terra. 


Le storie di Dolore scavano solchi profondi e si ripropongono nei sogni, nei momenti di tranquillità e sempre dietro l'angolo sono pronti ad assalire: e allora ci si difende con l'ansia o ci si arrende con la depressione o ci si ribella con l'autolesionismo.
Anche per chi assiste non è facile trovare un equilibrio tra l'impatto emotivo. il desiderio di essere utili e la comprensione che ogni persona ha un proprio equilibrio che non coincide necessariamente con la nostra idea di equilibrio.
Ci sono tuttavia storie che curano. Quando si entra nella vita di una persona, lo si deve fare in punta di piedi e se, con delicatezza e infinito rispetto, consapevoli dei nostri limiti e dei nostri pregiudizi, iniziamo insieme a lei a trovare un senso alla sua vita e alle sue esperienze, seppur terribili, è possibile costruire degli appigli a cui aggrapparsi. 
A volte invece non serve parlare, non serve TIRAR FUORI, come una certa psicologia ci ha tramandato, ma serve creare un contesto sociale e comunitario in cui le persone possano concretamente trovare un proprio ruolo e sentirsi riconosciute come persone, anche questo è terapeutico, ed è quello che accade, ad esempio con il microcredito dove il FARE, il METTERE NELLE CONDIZIONI DI, consente alle persone, alle Donne in questo caso, di vedersi aprire delle possibilità. 
A confronto di questi temi tutte quelle donne che quotidianamente si lamentano di subire le scelte degli altri, dei mariti, dei genitori... potrebbero davvero riflettere e valutare se dinnanzi a sé non hanno veramente possibilità di scelta e cosa realmente fanno per apportare anche piccoli cambiamenti nella propria vita. Perché è vero che per ognuno i propri problemi sembrano grandi, ma è anche vero che allargando il contesto e confrontandosi con realtà più ampie, cambia la scala delle priorità e la percezione di sé nel mondo. Chi è intrappolato in questo meccanismo di passività, che spesso allontana gli altri, anziché avvicinarli, avviando un circolo vizioso, nel momento in cui è pronto per coglierne la disfunzionalità, con un aiuto esterno può certamente uscirne e accorgersi di quanto la fatica finora fatta non abbia generato nulla.
Ma chi ha subito un trauma non lo supera. Il trauma è una cicatrice ed è un gran successo quando ci si ricorda di guardarla prima di compiere il passo successivo, ed ogni volta è Dolore. Ed è lì che il dolore diventa la motivazione.



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